La giornata delle “memorie”
Visitando il campo di Auschwitz e Birkenau viene in mente una sola domanda: “Com’è stato possibile?”. Eppure un’umanità silente si girò dalla parte opposta, per terrore, per indifferenza, per colpa: ma lo fece. Sembrerebbe un tempo assai lontano eppure i fatti di oggi registrano ancora il crepitio dei cannoni e una violenza organizzata contro i popoli senza che alcuno, come allora, levi concretamente il grido di dolore e di allarme.
La giornata della memoria nasce per ricordare la tragedia dello sterminio nazista, una celebrazione che per anni ha seguito lo stesso schema culturale utile a conoscere bene i fatti ma oggi, così com’è, non ha più utilità, appare autoreferente e ideologica. Come se esistesse una speciale classifica a indicare quale sterminio è più utile alla memoria e quale può anche essere dimenticato.
La giornata della memoria sia dunque punto di partenza per arrivare a una percezione universale su tutte le tragedie umane che ancora insistono anche alle porte di casa. Iniziamo a pensare a una “giornata delle memorie” per non sacrificare l’investimento fatto fino ad ora e per costruire strumenti di difesa delle nuove generazioni che debbono conoscere la ruvidità dei tempi correnti e non confinare la “memoria” solo a qualcosa di trapassato.
Yazidi, Copti, Armeni, Tutsi, Bosniaci (solo alcuni esempi), trucidati per mano militare o da criminali come Boko Haram piuttosto che dalla più blasonata Isis. La vicenda armena, poi, ancora divide la storia della Turchia e le conseguenze insanguinano piazze e università a oltre 100 anni di distanza. Poco più di venti anni appena sono trascorsi dagli eccidi in Ruanda e in Bosnia; flash di una storia che non passa e che vede nella memoria l’unico antidoto ma deve esserci una conoscenza che non c’è. Vanno bene incontri, film, letture, flash mob, ma non bastano, ci deve essere una testimonianza cruenta e puntuale, si deve generare la reazione dei ragazzi che debbono sapere di essere coevi di stermini paragonabili a quelli che pensavano dispersi nelle pagine dei loro libri di storia.
Tutti colori che hanno una responsabilità e una funzione pedagogica dovrebbero unirsi nel coro di condanna, trasformare l’indignazione in partecipazione, la conoscenza in condivisione, la ricerca delle ragioni di pace oltre il proprio orizzonte culturale e religioso.
Solo così ha senso la memoria, solo così le memorie attuali portano al superamento in una stagione complicata. Dolore che sembrava archiviato e che invece riecheggia sordo dentro noi, ma ci ostiniamo a non sentirlo, ci giriamo dall’altra parte: esattamente come settant’anni fa!
“Quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare”, cantava così Francesco Guccini nel 1964. Sono passati più di cinquant’anni… a me pare sia ancora così!
Luca Masi