È domenica mattina e mi sono appena seduta alla scrivania di casa per scrivere un nuovo pezzo. Tema: i femminicidi da inizio anno, praticamente da nemmeno due mesi. E prima di iniziare a scrivere mi vado a leggere un po’ di pezzi che mi ero salvata in queste settimane, a vedere se sono ancora attuali, se c’è da modificare qualcosa. Puntualmente scopro che sì, che il numero che avevo in testa appena due settimane fa è peggiorato, che proprio nella notte un’altra donna è stata uccisa dal suo compagno a coltellate. E quindi ho deciso che il numero proprio non lo metterò in questo pezzo, perché purtroppo cambierà da qui a quando il giornale sarà in stampa e soprattutto perché citando solo un numero si rischia di perdere di vista una delle emergenze del nostro Paese.
Il femminicidio attraversa tutte le classi sociali, non guarda in faccia al titolo scolastico, non si ferma davanti all’apparente normalità. È uno di quei reati infimi perché è in grado di non mostrare apertamente il suo volto fino all’ultimo e perché genera, prima di una violenza fisica, una psicologica che agisce sul senso di colpa. Le donne vittime, infatti, troppo spesso hanno difficoltà a denunciare perché c’è un clima sociale, prima che legislativo, che non le tutela. Come per lo stupro, la violenza domestica pone quesiti orribili e inadatti: “chissà che avrà fatto lei”, “se l’ha tradito un po’ se l’è meritato”, “certo che poteva non lasciarlo”. Sono frasi che è innegabile circolino ancora nella testa di molti e che sono il vero male da sconfiggere, culturalmente e legalmente.
Il dibattito politico e sociale a cui assistiamo è un elastico che non va da nessuna parte: quando un femminicidio accade, o sei in una sola settimana come è successo a inizio anno, allora tutti pronti a correre in avanti, a farsi paladini delle donne, a voler legiferare, a voler investire in opere culturali di formazione. Quando però passa l’attenzione mediatica, come trascinati da un elastico i politici tornano indietro, si occupano di altro. Di omicidi, ad esempio. Già, perché se ascoltassimo con attenzione alcune fazioni, parrebbe molto più pericolo andare in giro per strada per uomo che tornare a casa per una donna. Ma i numeri, e purtroppo qui devo cedere alla loro logica, dicono esattamente il contrario. In Italia gli omicidi sono in costante calo. Dall'1 agosto 2017 al 31 luglio 2018, i delitti consumati sono stati 2.240.210, il 9,5% in meno rispetto ai dodici mesi precedenti. E nel 2019 l’Italia ha registrato uno dei dati più bassi tra tutti i Paesi Europei. Peccato però che altrettanto non si possa dire dei femminicidi: le donne uccise sono state 131 nel 2017, 135 nel 2018 e 103 nel 2019. Aumenta di conseguenza il dato percentuale, rispetto agli omicidi di uomini, in maniera davvero impressionante. L'ultimo Rapporto Eures su “Femminicidio e violenza di genere” ha messo in evidenza come quello familiare sia l'ambiente dove viene commessa la maggior parte di questi reati. Tra le mura domestiche, o comunque per mano di partner, mariti e fidanzati, vengono commessi oltre l'85% dei delitti con vittime femminili. Senza contare le denunce per stalking e minacce.
In questo quadro allarmante appare difficile capire il perché questo non sia un tema nazionale, non sia in capo all’agenda politica di ciascun partito. E peggio ancora, non si capisce perché non si tutelino luoghi che con costanza, fermezza e presenza sul territorio portano avanti azioni culturali e di vero e proprio sostegno alle donne vittime di violenza.
La cosa che fa più male, in questo quadro, è che sembra la battaglia per questa piaga sia solo di una parte della popolazione, come se agli uomini non interessasse o peggio ancora non dovesse interessare questo problema. E invece è proprio da qui che parte il problema: dal non considerarlo proprio, tanto per gli uomini quanto per le donne, di non pensarlo possibile per se stessi, tanto come carnefici che come vittime. I tanti casi di femminicidio ci hanno insegnato che si insinuano anche nella situazione apparentemente più idilliaca, anche nelle famiglie “da Mulino Bianco” per usare una frase fatta ma che rende bene l’idea. Per questo il controllo del territorio, il presidio, la presenza di luoghi di condivisione e di appoggio, il lavoro attivo dei servizi sociali, l’insegnamento all’interno delle scuole sono tutti atti fondamentali per cercare di invertire la tendenza. E poi la legge, sì, la legge. Perché la donna che è morta proprio stanotte e di cui ho letto poco prima che iniziassi a scrivere, aveva denunciato il proprio compagno (ora sotto interrogatorio) e aveva ottenuto un ordine di restrizione che gli impediva di recarsi nel paese della vittima. Ordine ovviamente non rispettato e che ha portato all’ennesima vittima di questo 2020.
Claudia Moretta