Mariangela Melato: l’eredità teatrale intima di una bisbetica mai domata
Penso che le donne debbano imparare a stare sole e a volersi bene lo stesso
“È vero che Visconti disse che ero una ranocchietta coi coglioni, ma in fondo io sostengo che sono bella soltanto se esprimo un sentimento e mi vanto di una sana cattiveria: nel rigore sincero mi trovo più onesta”. Quante altre attrici sarebbero disposte a parlare di sé in questi termini? Sono sufficienti queste poche parole per capire la singolarità, meglio l’unicità, di Mariangela Melato. Un’interprete, ma anche una donna ironica, anticonformista, imprevedibile, appassionata, insieme leggera e complicata. Sul lavoro, come nella vita, un vulcano di allegria, entusiasmo, passione. È stata l’ultima vera diva del teatro italiano, benché dallo stereotipo della diva fosse lontana anni luce, ma anche una stupenda attrice di cinema. In entrambi i campi, come accade di rado agli interpreti, ha saputo primeggiare: magnetica e lucidissima sul set e in palcoscenico, Mariangela Melato ha offerto di sé immagini contrastanti, proponendo interpretazioni varie e a volte opposte. Davanti alla cinepresa ha recitato soprattutto con gli occhi, penetranti e malinconici, ma attraversati da lampi di improvvisa vivacità; in palcoscenico con il corpo, riuscendo ad essere assolutamente credibile in ogni ruolo.
L’infanzia milanese e i primi passi verso il palcoscenico
Milanese di Brera, classe 1941, in un’intervista rilasciata a Rodolfo Di Giammarco qualche anno fa, si racconta così: “A Milano c’è un clima schifoso, spesso c’è freddo e nebbia. La gente non sta nei bar a chiacchierare quindi la personalità milanese di una ragazza com’ero io si forma con un po’ di secchezza e durezza”. Il padre, vigile urbano, è d’origini tedesche e lei associa il suo temperamento a quell’eredità genetica. Cambia look molte volte, portando all’eccesso un certo allarmante stile zingaresco, disegna manifesti e si iscrive finalmente a una scuola di recitazione: quella di Esperia Sperani al Filodrammatici, dove viene scambiata per la parente di un’altra attrice, Maria Melato. In breve tempo, si mette in luce per il suo grande temperamento e per una passione quasi sanguigna per la recitazione. Finalmente laureata attrice, debutta a teatro in “Piccola città”, entrando nel Carrozzone di Fantasio Piccoli, un gruppo teatrale girovago di Bolzano. Comincia la sua gavetta, ma fa passi da gigante. Mariangela ha qualcosa da donare al pubblico e il pubblico si accorge immediatamente della grande generosità artistica dell’attrice. Forse per quegli occhi grandi, spalancati, da civetta, o per quel volto piccolo, ma dai lineamenti precisi, spinosi. Un carattere volitivo capace di colpire anche Luchino Visconti. Il debutto a teatro è nel 1960 nella compagnia di Fantasio Piccoli. Per pagarsi gli studi in recitazione, qualche anno prima, aveva lavorato alla Rinascente. Calca il palco con Dario Fo, ma l’exploit è del 1968 con Luca Ronconi che la dirige nell’Orlando Furioso. “La mia sostanza è il teatro, un fuoco che mi consuma. E quel fuoco sono io”. Mariangela Melato ha sempre affermato con decisone la sua passione per il teatro, scegliendo ogni volta ruoli straordinari, donne fuori dal comune, immerse in storie drammatiche, cruente, ingovernabili. Da Olimpia nel mitico “Orlando Furioso” di Luca Ronconi, dove appariva vestita di nero, scatenata e pazza; a Cassandra ne “L’Orestea” ancora diretta da Ronconi; a “Medea” per la regia di Giancarlo Sepe; a “Madre Coraggio” di Brecht nell’allestimento di Marco Sciaccaluga. E ancora è stata la Blanche di “Un tram che si chiama desiderio” e la Caterina de “La bisbetica domata”. Nella sua attività artistica, la Melato ha interpretato personaggi classici e contemporanei, di ogni età, come già accennato, ma anche di ogni condizione sociale, e di ogni provenienza geografica. Lei, così intimamente milanese, di quella Milano di ringhiera, espressione di solidarietà ed etica del lavoro, si è calata con naturalezza perfino in un personaggio sinonimo di napoletanità come “Filumena Marturano”, interpretata in una versione televisiva.
Mariangela e il cinema
Negli anni Settanta approda anche al cinema – il debutto è con Pupi Avati – dalla “Classe operaia non va in paradiso” di Petri, per cui riceve il primo dei suoi cinque Nastri d’Argento.
Quella che le regala più soddisfazioni in termini di popolarità è certamente la trilogia diretta da Lina Wertmüller: “Mimì metallurgico ferito nell’onore”(1972), “Film d’amore e d’anarchia”(1973), “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto”(1974). Sul versante della commedia, la chiamano Mario Monicelli, Luigi Comencini e lavora in due occasioni con il versatile Steno. Negli oltre cinquanta film girati per il grande schermo, ha composto una galleria di ritratti tanto ampia e variegata quanto precisa e credibile: snob, intellettuale, proletaria, giornalista, professionista calata nelle cento sfaccettature, nelle trappole e nelle seduzioni di almeno quarant’anni di vita italiana. Carriera ricca, densa, intensa, se è vero che negli interstizi tra un film e l’altro, e con alcuni sceneggiati televisivi, ha calcato i teatri italiani, lasciando impronte non facilmente cancellabili. Capace negli ultimi anni di cimentarsi nell’one woman show, tra canzoni e intrattenimento. Senza dubbio una grande attrice italiana, completa e senza pregiudizi.
La prematura scomparsa e il ricordo di Renzo Arbore, l’amore di tutta una vita
A piangere la morte di Mariangela Melato, avvenuta nel 2013 a soli 71 anni a causa di un male che non le ha lasciato scampo, è Renzo Arbore, che ha raccontato più volte il suo ricordo della bellissima storia d’amore vissuta con l’attrice. Tanti i volti dello spettacolo che hanno omaggiato la Dea del Teatro con un ultimo pensiero e non poteva fare altrimenti anche il suo compagno di vita, colui che le è stato vicino fino all’ultimo giorno in cui si è spenta in una clinica romana dopo aver perso la sua battaglia contro un tumore al pancreas. Le parole del musicista che l’ha vissuta da vicino, sia professionalmente che personalmente, non hanno fanno che confermare il pensiero comune, ovvero di quanto eccezionale fosse come persona e come attrice: “Ho avuto la fortuna di conoscere una donna eccezionale. Sono stati 42 anni di conoscenza e di amore, mai una meschinità o un litigio, mai una volta la voce alzata. I due avevano vissuto una storia d’amore negli anni Settanta ed erano tornati insieme nel 2007. Insieme hanno condiviso tanti momenti sul palco. Oggi come in passato, Renzo ha raccontato di aver avuto un unico grande rimpianto, quello di non averla sposata. Ma loro a tutti gli effetti si sentivano marito e moglie e tanto basta. In fondo Mariangela non si sentiva molto adatta per il matrimonio, “Penso che le donne debbano imparare a stare sole e a volersi bene lo stesso”. Stupendamente indipendente anche quand’era sprofondata dentro l’eterna storia con Arbore, di una vita. Mai banale, negletta, lagnosa. Mai vittima. Meglio sola che male accompagnata. E’ questo, secondo noi, tra i tanti ricordi di scena e quell’enorme talento consumato con avidità come cicche di sigaretta rimaste nel posacenere, il messaggio più attuale di Mariangela Melato “Sono sola per scelta”, diceva spesso, in scena e non. Scelta degli altri, aggiungeva con quell’inconfondibile voce roca di storia vissuta e catrame. Tutta la vita, in realtà, in compagnia di se stessa.
Maria Rita Cappucci