Da RAI 1 con “Sarò Franco” a Nonsolorosa con la rubrica “FRANCAMENTE”
Sebben che siamo donne
Una volta un professore chiese a una sua allieva come mai una ragazza carina come lei studiasse materie scientifiche. Era una domanda veramente stupida, e la studentessa non ebbe la prontezza né il coraggio di dare al suo professore una risposta adeguata a tale livello di ignoranza. E così rispose solo con un sorriso. Quella studentessa si chiamava Elisabeth Blackburn e nel 2009 si sarebbe tolta la soddisfazione di fare a pezzi quella battuta sciocca vincendo il nobel per la medicina per aver scoperto il meccanismo di protezione molecolare dei cromosomi.
“Sono passati cinquant’anni da quando il professore fece quel commento sessista – ha ricordato la scienziata in un convegno di qualche mese fa – ma i pregiudizi sono ancora molti”.
Una recente indagine condotta da Opinion Way, un istituto di ricerca francese, in cinque paesi europei dimostra che nel nostro continente soltanto il 10% degli intervistati pensa che le donne siano vocate per la scienza. Il 67% è convinto che le donne non abbiano la capacità necessaria per arrivare a una carriera scientifica di alto profilo. In Italia questa percentuale sale al 70% degli intervistati. Eppure dei sei premi nobel italiani per la medicina uno porta il nome di Rita Levi Montalcini. Ma neppure questo basta a superare gli stereotipi.
Per la stragrande maggioranza degli intervistati le donne sono più portate per le scienze sociali, la comunicazione, le lingue, l’arte. Le scienze, il management, la politica, vengono solo alla fine.
Eppure le donne che assumono ruoli di comando sono mediamente più capaci, affidabili e sicure degli uomini. Lo sostiene, dati alla mano, uno studio compiuto dal Person Institute for International Economics di Washington per conto del Financial Times. La ricerca è costata anni di lavoro ed è stata condotta in 91 paesi, analizzando i dati di quasi ventiduemila aziende. Ebbene, le imprese che registrano una forte presenza femminile nel gruppo dirigente, hanno un utile netto superiore del 6% rispetto a quelle aziende dove la presenza maschile è più forte.
Ma come mai le donne al vertice migliorano le perfomance delle aziende? “Facile da spiegare – ha detto l’economista Daniela Del Boca a Rita Querzé del Corriere della Sera – le manager sono consapevoli di essere guardate a vista e quindi danno sempre il massimo, lavorano di più. Mediamente sono molto preparate perché devono dimostrare di meritare un posto che è stato assegnato loro grazie alla legge sulle quote rosa”.
La legge delle quote rosa che impone alle aziende di assegnare ruoli di responsabilità anche alle donne è del 2012. Ma anche dove le quote rosa non esistono, i numeri confermano che le donne dimostrano una marcia in più in termini di impegno, affidabilità, capacità di concentrazione. Un recente rapporto del Ministero della Pubblica Istruzione ha accertato che le studentesse delle scuole medie superiori sono più brillanti dei ragazzi, sono poche quelle che stentano a rasentare la sufficienza, solo il 16% contro il 35 degli studenti di sesso maschile. E i dati universitari confermano questa tendenza: il 59% dei laureati è donna. Il sorpasso delle laureate sui laureati è ormai un dato di fatto in tutta Europa. La media è del 9% in più, mentre in Italia la media sale di un punto. A questo va aggiunto il fatto che le lauree migliori, quelle con il punteggio più alto, sono lauree al femminile.
Eppure, ciononostante, il pregiudizio di genere è ancora duro a morire. Maria Gabriella Luccioli fu una delle otto donne che indossarono per prime la toga nel lontano 1965, quando il parlamento approvò finalmente la legge che stabiliva la parità dei sessi nelle professioni e negli uffici pubblici. È la prima presidente di una sezione della corte di Cassazione, il massimo organo giudicante della magistratura. Oggi il numero delle donne magistrato ha superato quello degli uomini, eppure sono sempre gli uomini a tenere saldamente in mano i vertici della magistratura. C’è ancora molta strada da fare, ha ricordato qualche giorno fa il Ministro della Giustizia in una sua lettera alla Stampa di Torino. E Maria Gabriella Luccioli è d’accordo, come ha spiegato a Maria Corbi della Stampa. Dei 26 componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, escludendo il Presidente della Repubblica, soltanto tre sono donne. “Una sproporzione assoluta che rende difficile portare avanti una politica delle pari opportunità. Occorre riequilibrare la situazione cambiando le regole”, ha detto Maria Gabriella Luccioli.
Come darle torto? Del resto i dati lo dicono in modo chiaro. Non c’è campo in cui le donne non dimostrino mediamente maggiore attenzione e capacità degli uomini. La medicina e la ricerca scientifica nel nostro Paese sono ormai al femminile. Dovunque lavorino, le donne si impegnano di più e meglio degli uomini, sono più duttili, più capaci, più pronte al cambiamento.
Eppure, anche quando riescono a rompere il cosiddetto tetto di cristallo, quello che impedisce loro di salire in alto, a parità di mansioni le donne vengono pagate meno dei loro colleghi maschi. Per guadagnare quanto un uomo pari grado, una donna dovrebbe lavorare un mese in più all’anno. Parliamo di novemila euro di meno ogni anno per le donne manager, tremila euro meno per le impiegate, quasi duemila per le operaie.
I motivi che spiegano questo divario sono molti. Ma quello più frequente e inconfessato è quasi una forma di coercizione, una specie di forca caudina che certe aziende esercitano nei confronti delle donne da assumere in un Paese come il nostro in cui l’occupazione femminile è tra le più basse d’Europa.
Una spiegazione che non giustifica la disparità di trattamento, ma che viene accettata con fatalistica rassegnazione. Un’ingiustizia sulla quale è intervenuto, con la sua ormai proverbiale franchezza, anche Papa Francesco. La disparità di trattamento fra uomini e donne è un puro scandalo, ha detto il Papa. E se a notarlo è il primo pastore di anime della chiesa cattolica, vuol dire che lo scandalo non è solo economico e sociale, ma riguarda l’etica e i valori su cui si fonda una comunità.