Indagine su un mito
Questa volta ci occupiamo di un grande, anzi di un gigante della pittura, la cui influenza ha segnato il passo sino al ‘900. Un autentico Mito la cui esistenza ci rende orgogliosi della nostra italianità: Piero della Francesca, “ l’Artista del silenzio che inventò la luce” in Mostra fino al 26 giugno ai Musei di San Domenico di Forlì. Una imponente Mostra antologica con 250 dipinti dove passato, presente e futuro si fondono magicamente in un unicum irripetibile. Si va dalla cultura pittorica contemporanea al Maestro con Opere di Domenico Veneziano, suo amico e mentore, Beato Angelico, Filippo Lippi, Paolo Uccello, protagonisti di quella “ Prospectiva pingendi” teorizzata dal Maestro e diventata la “ pietra angolare del suo linguaggio figurativo”. L’obbiettivo perseguito è rendere visibile e chiaro lo spazio in cui si inseriscono i diversi volumi e mettere in atto una prospettiva del tutto nuova ed originale in cui assemblare il vicino con il lontanissimo, il primo piano con l’infinito rispettando rapporti di armonia, senza fratture nè drammi. I suoi personaggi sono apparentemente immobili nella loro intima ieraticità. Lo storico dell’Arte Berenson etichetta l’Arte del Maestro come “ Arte non eloquente” in riferimento alla staticità delle sue composizioni, ben lontane da mondanità, esasperazioni o tragedie. Ma è proprio quella staticità ad evocare l’intenso pathos che traspare in ogni particolare delle sue opere realizzate in una perfetta armonia formale e illuminate dalle più solari melodie cromatiche.
Sarà il filo conduttore che brillerà di luce propria tanto da lasciare una scia così potente da essere seguita con lui e dopo di lui fino ad oggi. A cominciare dagli Artisti Emiliani mentre ancora il Maestro lavora nella Corte degli Estensi a Ferrara e dei Malatesta a Rimini e ancora dai Pittori Anconetani che ebbero modo di conoscerlo ad Urbino dai Signori di Montefeltro. Per non parlare dell’influsso sui suoi conterranei aretini, tra cui il Signorelli e il Perugino e delle testimonianze di Melozzo e di Antoniazzo Romano per i suoi soggiorni nell’Urbe, fino a coinvolgere anche la Scuola Veneta, con pittori come Giovanni Bellini e Antonello da Messina, tutti sapientemente rappresentati nella Mostra. Ma, e qui è l’unicità dell’evento, l’indagine sul grande Pittore di Borgo San Sepolcro va oltre seguendo la luce del Mito che l’Arte contemporanea tra ‘800 e ‘900 ha costruito intorno a lui. Mai una Mostra ha offerto una simile ampiezza spazio-temporale di testimonianze eccellenti che hanno seguito le sue orme, come Signorini, Casorati, Campigli, Gentilini, sino a giungere all’acmè con quella “Natura morta di oggetti in viola” del magico Morandi. Il bianco, l’ocra, i bruni e l’azzurro. Gli stessi colori, la stessa luce intima, eterea e tersa di quello che fu definito già nel ‘509 da Luca Pacioli il “Monarca della pittura”.