Dal successo del trio al calvario della malattia, il burrascoso divorzio da Paki Valente e il grande amore del pubblico. Attrice comica, imitatrice e doppiatrice, ha scritto alcune delle pagine più belle della tv italiana.
“Sono sicuro, il suo disincanto non la abbandonava mai e ora se ci vedesse direbbe: ‘cosa sono quelle facce, sembra sia morto qualcuno’, così Tullio Solenghi, con un dolore all’ennesima potenza, ha voluto ricordare l’amica Anna Marchesini, scomparsa lo scorso 31 luglio a 62 anni dopo anni di lotta contro la malattia. “Una parte della mia vita e di me stesso che se ne va’”. Ha detto Solenghi. Era una forza comica naturale e lo dimostrano gli anni passati con l’ amatissimo trio condiviso con Solenghi e Lopez, l’adesione nazional-popolare alla parodia dei “Promessi Sposi” in televisione, e quella grande forza di osservazione sulle piccole cose che la rendeva amata dal grande pubblico e anche coccolata dalla nicchia che si divertiva alle imitazioni, un classico cavallo di battaglia comico, di grandi protagoniste femminili come Wanna Marchi e Rita Levi Montalcini. Sprigionava affetto come un fiume in piena di parole disincantate e tanto malinconiche quanto ironiche, la Marchesini. Ammetteva d’essersi posta un divieto alla felicità, quasi per paura di farsi male, e affermava che l’esperienza dell’infelicità poteva essere più bella. Parlava come la più etica delle donne, creava contatti con un semplice sguardo, ed era appassionatamente amata dall’ex platea immensa e multigenerazionale dei telespettatori fin dagli anni ‘80, dall’epoca d’oro del Trio, e tuttavia era anche venerata da plotoni di giovani (attori, registi, universitari), era un irresistibile mito per intellettuali e per gente comune che affollavano i suoi reading letterari in teatro e in libreria. Anna era e rimarrà un mito, un talento fatto di spirito, di generosità, di coinvolgimento, di profondo pensiero prestato al linguaggio comico o grottesco, ma era soprattutto un’intensa, instancabile persona dedita a osservare il mondo, i turbamenti dell’animo, facendone ovunque e sempre tesoro. Una vita che sembrava all’ insegna dell’ allegria, iniziata a Orvieto il 19 novembre del 1953, che ha saputo trasmettere la forza salvifica dell’ umorismo e che poi, forse per una memesi storica, l’ha costretta a un lungo e doloroso finale di partita.
Dal teatro alla tv: la nascita del trio
Il debutto a teatro avvenne quando ancora era un’allieva dell’Accademia d’Arte drammatica Silvio d’Amico, nell’estate del 1976, con lo spettacolo “Il Borghese Gentiluomo” diretto da Tino Buazzelli. Diplomata tre anni dopo, entrò in compagnia con lo spettacolo “Platonov” di Anton Cechov per la regia di Virginio Puecher (Piccolo di Milano). L’incontro con i due colleghi che cambieranno la sua carriera è all’inizio degli anni Ottanta. Nella sua biografia on-line l’attrice scriveva “In Svizzera in un programma per gli italiani incontro Tullio Solenghi e già rido. Nel frattempo al doppiaggio di cartoni animati a cui mi dedicavo fra uno spettacolo e l’altro, conosco Massimo Lopez e ancora ridiamo”. Il sodalizio durerà tutta la vita anche se ufficialmente il trio si scioglierà nel ‘94 pur tornando qualche volta insieme. Marchesini, Solenghi e Lopez avevano avuto un inizio «genovese» scritturati dalla Rai per un programma radiofonico dal titolo «Helzapoppin RadioDue», che si prolungò a furor di ascoltatori dando il via alla popolarità destinata naturalmente a confluire nel varietà televisivo cui il Trio seppe dare un’impronta personale di ironia legata alla cultura come nel caso della spiritosissima parodia manzoniana. Il Trio conquistò il pubblico televisivo e poi lo traghettò a teatro: il loro primo spettacolo teatrale come “Allacciare le cinture di sicurezza” debuttò nel 1987 al Sistina di Roma e fece il tutto esaurito per tre anni. Dal 1982 al 1994 il Trio raccolse consensi oceanici, in tv e in palcoscenico.
Il boom del Trio: “Anna era la nostra colonna portante, ma ognuno di noi era una spalla per l’altro”
“I Promessi sposi” è stata la creatura che li ha consacrati definitivamente e consegnati alla storia della tv. A quell’exploit tv seguì nel 1991 un secondo spettacolo a tre per il teatro “In principio era il Trio”, grande successo, biglietto d’oro e tre stagioni di turnée. “Costruivamo i copioni a casa mia, seduti sul divano, dove ci sono ancora le forme dei nostri sederi – racconta Lopez -. E non ci dividevamo mai i personaggi, tutto avveniva goliardicamente, con naturalezza, senza mai spartirci il numero di battute. Ognuno di noi era la spalla dell’altro”. “Ciò che mi sorprendeva maggiormente in Anna – aggiunge Solenghi – era la capacità di trasformarsi in un nano secondo dalla più bella figheira alla strega di Biancaneve. Un trasformismo mai visto”. Nel 1994 il Trio si sciolse perché Massimo Lopez scelse di sperimentare la carriera solista. A questo periodo risalgono gli spettacoli a due, con Tullio Solenghi, “La Rossa del Roxy Bar” (in tv) e “Due di Noi” di Michael Frayn (a teatro). Poi arrivò la scelta di una serie di show da solista per l’attrice e regista che anche sola riempie il Teatro Olimpico. Dell’autore inglese Alan Bennett oltre a “Una patatina nello zucchero” portò in scena anche “L’occasione d’oro” e “La cerimonia del massaggio”, spettacoli che univano bene l’umorismo “british” dello scrittore con la sua ironia. Nel 2008 il ritorno del Trio in tv per la celebrazione dei 25 anni, con la conduzione a tre di “Non esiste più la mezza stagione”. Tra un impegno teatrale e uno televisivo Anna Marchesini si è dedicata molto anche al doppiaggio prestando la voce in una serie di cartoon: i francesi “La profezia delle ranocchie” e “Principi e principesse” e i film Disney “Le follie dell’imperatore” e “Hercules”, ma anche a Judy Garland nel nuovo doppiaggio de “Il mago di Oz” degli anni Ottanta e alcuni episodi di “Star Trek” e “La casa nella prateria”.
La passione per la scrittura e i suoi ultimi momenti sul palcoscenico
Scrittrice per il teatro naturalmente ma anche per la narrativa, Anna Marchesini ha pubblicato una serie di libri: con Solenghi “Uno e trino” e “Che siccome che sono cecata” di matrice teatrale, mentre più recentemente invece si era dedicata alla narrativa pubblicando per Rizzoli “Il terrazzino dei gerani timidi” e “Di mercoledì”. Anche il suo ultimo lavoro teatrale, “Cirino e Marilda non si può fare in scena” al Piccolo Teatro di Milano nel 2014, era tratto dal suo libro “Moscerine”, una galleria di personaggi femminili dolorosi e comici come quelli che nella sua lunga carriera aveva portato a teatro. Prima di questo la sua ultima sfida era stata portare in scena “Giorni felici” di Samuel Beckett nonostante le difficoltà causate dalla sua malattia. Recentemente Anna Marchesini era stata colpita dall’artrite reumatoide deformante, una patologia molto invalidante, che rende progressivamente impossibili i movimenti colpendo soprattutto le articolazioni e causando deformazioni molto gravi nella persona che ne è affetta.
Anna e Paki Valente: quando l’amore finisce in tribunale
Anna Marchesini nel 1991 ha conosciuto e sposato Paki Valente, attore tarantino di sei anni più giovane di lei e dalla loro unione è nata Virginia, oggi ventiquattrenne, che la Marchesini ha chiamato così in onore a Virginia Woolf. I due divorziarono nel 1995 a seguito delle lamentele di Paki che iniziò a sentirsi del tutto escluso dalla vita della moglie che, secondo lui, aveva iniziato a dedicarsi esclusivamente alla bambina. Il matrimonio tra i due si è concluso in tribunale, con Valente che fece richiesta all’ex moglie di un assegno di mantenimento, che ammontava a dieci milioni delle vecchie lire, e fu uno dei primi e pochissimi casi di divorzio in cui fu un uomo a percepire gli alimenti dall’ex moglie.
Da allieva ad insegnante
Negli ultimi anni Anna Marchesini aveva insegnato all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, una cosa di cui andava molto fiera perché entrare in Accademia era sempre stato il suo sogno fin da ragazza e per riuscire a realizzarlo aveva dovuto tentare l’ammissione tre volte, dal momento che le prime due l’avevano bocciata.
L’ironia anche nel suo “testamento”
“Ho già adocchiato una vetrinetta in sala riunioni con un piccolo cofanetto verde di porcellana, credo. Ritengo sia ideale per contenere le mie ceneri – scriveva con la sua solita ironia sul suo sito – È una aspirazione che piano piano troverò il coraggio di far uscire alla luce. Che detto di un mucchietto di ceneri non è appropriato. Posso tentare…. e se mi ribocciano? E se poi l’Accademia trasloca? E se durante il trasloco il cofanetto verde si rompe? No eh! essere spazzata via dall’Accademia no mai più!”.
Maria Rita Cappucci