Alda Merini, la poetessa che cantò il dolore degli esclusi
Sono nata il ventuno a primavera, ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta
La primavera è segno di nuova vita, di rinascita. Ma, come qualsiasi cosa che nasce, porta scompiglio, accende nuovi timori, riempie il cuore di gioia e al contempo di paura. Perché la bellezza del nuovo sta nell’inaspettato, quell’attimo prima della scoperta, dove tutto può ancora essere, e nulla è avvenuto. Alda Merini nasce in primavera e i suoi versi ci svelano, con la loro semplicità e profondità, la rivoluzione che, partendo dalla nascita, ha seguito la sua intera vita. La sua poetica, fatta di ardente visionarietà e profonda ma al tempo stesso sommessa inquietudine, la colloca tra le maggiori autrici del novecento e dei primi anni 2000. Ma Alda è stata anche una donna che ha vissuto delle vicende personali complicate e dolorose. Tante battaglie combattute e poche guerre vinte. L’amore smisurato per la poesia, le ombre della malattia mentale, la maternità, il successo inaspettato, le richieste d’aiuto e una vita sempre in bilico tra luce e oscurità. Questo e tanto altro è stata Alda Merini. Cantante dei poveri e dei matti dell’inferno, è stata la poetessa degli ultimi. Le sue poesie sono state le armi con cui ha affrontato la sua vicenda esistenziale e le ombre che l’hanno sempre accompagnata.
Gli esordi come scrittrice e le “prime ombre della mente”
Alda Merini nasce il 21 marzo 1931 a Milano da una famiglia di umili origini (il padre è assicuratore, la madre casalinga). Comincia a scrivere versi fin dall’infanzia, frequenta le scuole professionali e studia il pianoforte. Dopo la guerra medita di entrare in convento, ma una sua insegnante le fa conoscere Angelo Romanò, che la presenta a Giacinto Spagnoletti. Al suo fianco, la sua carriera subirà un momento di svolta. Sotto la guida di Spagnoletti, Alda esordisce come scrittrice a soli 15 anni. Nella sua casa milanese avrà modo di conoscere alcuni dei più importanti letterati e intellettuali dell’epoca, tra cui Maria Corti, David Maria Turoldo, Luciano Erba e Giorgio Manganelli, di cui si innamora perdutamente. Sfortunatamente, nel 1947, Merini incontra “le prime ombre della sua mente” e viene internata per un mese in una casa di cura milanese a Villa Turno. Nel 1950 Alda esordisce con due poesie su “Paragone”, la rivista diretta da Roberto Longhi. Ma il vero scopritore del suo talento poetico è proprio Giacinto Spagnoletti, che le pubblica due testi nell’antologia “Poesia italiana contemporanea 1909-1949”. Nel 1951, su suggerimento di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani, entra nell’antologia “Poetesse del Novecento” di Giovanni Scheiwiller. Alda Merini diventa un caso letterario: si occupano di lei Mario Luzi, Pier Paolo Pasolini, Giancarlo Vigorelli, Salvatore Quasimodo (con cui ha un fugace legame sentimentale), Piero Chiara, Luciano Erba. Nel 1953 Manganelli abbandona Merini e Milano. “Un giorno egli scomparve in Lambretta, diretto a Roma”, scrive Maria Corti, spaventato forse dalla “paurosa immensità degli abissi della follia”, o forse dalle minacce del padre di Alda.
Il matrimonio e la maternità: la luce prima del tunnel
Nel 1954 Alda sposa l’operaio Ettore Carniti, da cui avrà quattro figlie. In novembre nasce la prima figlia, Emanuela, e il marito apre una panetteria. “La maternità è una sofferenza, una gioia molto sofferta. Da un amante ci si può staccare, ma da un figlio non riesci”. Così definisce Alda questa esperienza straordinaria, che cambierà per sempre il corso della sua vita. Alda ha amato profondamente suo marito Ettore, un uomo buono, un grande lavoratore, tuttavia non troppo incline a comprendere la vastità e l’astrusità del mondo poetico in cui Alda era immersa. “Se la mia poesia mi abbandonasse, come polvere o vento, io cadrei a terra sconfitta”. Nel 1958 nasce la seconda figlia, Flavia. Nel 1962 Scheiwiller pubblica la silloge “Tu sei Pietro”, cui seguirà un lungo silenzio. Nel 1965 viene ricoverata per una settimana nell’ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano.
Diario di una diversa
I periodi di salute e malattia si alternano fino al 1979 quando la Merini ritorna a scrivere dando il via ai suoi testi più intensi sulla drammatica e sconvolgente esperienza del manicomio, testi contenuti in “La Terra Santa”, pubblicato nel 1984. Nel frattempo (1981) muore il marito e, rimasta sola, la poetessa decide di dare in affitto una camera della sua abitazione al pittore Charles; inizia in questo periodo a comunicare telefonicamente con il poeta Michele Pierri che, in quel difficile periodo del ritorno nel mondo letterario, dimostra di apprezzare la sua poesia. Lo sposa nell’ottobre del 1983 e vanno a vivere insieme a Taranto, lui ha 85 anni e lei 53. Resteranno a Taranto per tre anni. Quando Pierri si ammala, Alda cade in un profondo stato depressivo, e i figli di Pierri la fanno internare in manicomio. Il ricovero è breve, ma terribile.
Il caso Merini
Nel 1986 la poetessa viene rispedita a Milano e comincia una cura psichiatrica. Sono anni fecondi per la Merini, anni dove si contano sempre maggiori pubblicazioni ed interventi pubblici, anni in cui le vengono assegnati diversi premi letterari e una laurea honoris causa dall’Università di Messina. Ma soprattutto anni in cui la personale battaglia di Alda con la sua indomabile vicenda esistenziale, la sua fragilità emotiva, provata dai lunghi periodi in manicomio e dalle ombre che ancora saltuariamente popolano la sua mente, trova finalmente la serenità a lungo cercata. Diviene un personaggio di successo, comincia a guadagnare i primi soldi, ma non cambia il suo stile: continua a vivere come una clochard nella casa dei Navigli, in un passato sepolto sotto mille oggetti accumulati nel tempo, in una casa piena di libri, quadri e fotografie, dove i muri divengono la rubrica su cui scrivere i numeri di telefono, ed il pavimento è un mosaico di sigarette spente. La sola volta che lascia il suo rifugio è quando ottiene il premio Montale Guggenheim; con in tasca i soldi vinti chiude a chiave la sua amata casa in Ripa di Porta Ticinese 47 è si trasferisce all’hotel Certosa, dove vi rimane fino a quando non finisce tutti i soldi, in buona parte donati ai barboni che incontra per strada.
Clinica dell’abbandono
Nel 2003 e 2004 viene pubblicato dall’Einaudi “Clinica dell’abbandono” con l’introduzione di Ambrogio Borsani e con uno scritto di Vincenzo Mollica. Nel febbraio del 2004 la Merini viene ricoverata all’Ospedale San Paolo di Milano per problemi di salute. Da tutta Italia vengono inviate e-mail a sostegno di un appello lanciato da un amico della scrittrice che richiede aiuto economico. La scrittrice ritorna successivamente nella sua casa di Porta Ticinese. “Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra”. Alda Merini si è spenta il primo novembre 2009 all’Ospedale San Paolo di Milano, in seguito ad un tumore, fumando le sue amatissime ed inseparabili sigarette, una dietro l’altra fino all’ultimo, incurante dei divieti. Senza nessun rimpianto, amando profondamente quella vita vissuta intensamente, fino all’ultimo dolore.
Maria Rita Cappucci